L’art. 337 c.c. stabilisce che il minore ha diritto a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
Dunque, all’interno dell’ordinamento Italiano la bigenitorialità corrisponde al supremo interesse del minore e rappresenta, per questo, un vero e proprio diritto. Tale diritto si sostanzia nella realtà con la scelta dell’affidamento condiviso, strumento attraverso il quale si può compiutamente garantire il diritto del figlio a poter crescere dividendo il proprio tempo in modo armonico ed eguale tra entrambi i propri genitori.
Pertanto, la possibilità di andare a limitare l’ambito di applicazione dell’affidamento condiviso e di far per ciò decadere uno dei due genitori dalla propria responsabilità genitoriale è limitata a casi eccezionali e di particolare gravità. L'art. 330, comma 2, c.c., che definisce normativamente l’istituto della decadenza dalla responsabilità genitoriale richiede, quale unico presupposto, la grave violazione dei doveri inerenti la responsabilità genitoriale. Le condotte tenute dal genitore devono pertanto essere di una gravità tale per cui la prosecuzione del rapporto genitore-minore rischi di per sé di compromettere il sano sviluppo del figlio, andando così a ledere il suo primario e superiore interesse ad un corretto e sano sviluppo fisico quanto psicologico.
In conclusione, dunque, la possibilità di richiedere ed ottenere la decadenza dalla responsabilità genitoriale di uno dei genitori è uno strumento di tutela del minore, che può essere azionato solamente nei gravi casi in cui il mantenimento della bigenitorialità risulti nocivo per il minore.